martedì 22 gennaio 2008

L'ATTUAZIONE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

In attuazione della sentenza n. 215 il Ministero della Pubblica Istruzione ha diramato a tutti i Provveditorati agli Studi, ad anno scolastico già iniziato, la circolare ministeriale n. 262 del 22 settembre 1988 che prevede, tra l’altro l’applicazione, per analogia, di disposizioni già in vigore nella scuola dell’obbligo, quali le CC.MM. n. 258 del 22 settembre 1983 e n. 250 del 30 settembre 1985, in attesa di specifici interventi legislativi.
In realtà la sentenza della Corte Costituzionale riguarda la frequenza degli handicappati psichici nelle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, poiché i fisici e i sensoriali erano da tempo inseriti (vedi C.M. n. 129 del 28 aprile 1982) e afferma inoltre che gli alunni disabili non possono considerarsi irrecuperabili e il processo di integrazione è utile non solo ai fini della “socializzazione”, ma anche dell’ “apprendimento”.
Un’interruzione del corso di studio, dopo la fine della scuola dell’obbligo, potrebbe comportare rischi di arresto, o addirittura di regresso, nello sviluppo della personalità nello stesso soggetto disabile. Pertanto tutti gli alunni che frequentano le classi delle scuole o istituti di istruzione secondaria di II grado devono essere valutati sulla base di parametri specifici, rapportati alle singole situazioni di minorazione e l’inserimento e la frequenza di ali alunni, anche se gravissimi, non può essere rifiutata a priori.
E’ l’affermazione dell’art. 38 della Costituzione “... Gli invalidi e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale …”.
Lo Stato con la sentenza della Suprema Corte tutela il diritto allo studio dei disabili, compresi i più gravi, purché espressamente certificati dalla U.S.L. In base a queste premesse sancite dalla citata decisione della Corte, la circolare ministeriale n. 262/1988 ha dettato disposizioni che investono vari aspetti del problema. Anzitutto si afferma l’opportunità di necessarie intese. Queste intese consistono in convenzioni tra Enti che sono deputati, in qualche modo, ad un ruolo preminente in tema di integrazione scolastica e rappresentano uno strumento necessario per coordinare gli interventi di propria competenza che, se avvengono in modo disorganico, possono pregiudicare l’integrazione stessa.
A tal proposito la C.M. n. 258/1983 e la C.M. n. 250/1985, estese anche alle scuole secondarie superiori, dettano disposizioni affinché la stipula delle intese promuova la programmazione congiunta dei servizi e degli interventi da parte degli operatori scolastici e socio-sanitari e l’elaborazione e l’attuazione di Piani educativi individualizzati (P.E.I.) per ciascun alunno con handicap.
In atto tali intese non sono obbligatorie, ciò ha impedito una generalizzazione di esse nel territorio italiano.
Quelle stipulate sono dovute, soprattutto, alla sensibilità al problema dell’integrazione scolastica dei disabili di amministratori locali e di alcune UU.SS.LL. In ogni caso, anche in mancanza ditali intese, occorre invitare e chiedere con insistenza agli Enti locali e alle UU.SS.LL. di designare propri rappresentanti nel Gruppo di lavoro per l’integrazione degli handicappati del Provveditorato agli Studi.
Gli Uffici scolastici provinciali, inoltre, possono stipulare altre convenzioni con istituti specializzati e con le Università, per avere una consulenza qualificata circa le problematiche delle singole tipologie e grado di handicap.
Nell’ambito di ogni unità scolastica il Preside, a sua volta, costituirà un Gruppo di lavoro composto, di norma, dallo stesso Capo d’istituto, da uno o più docenti, da componenti dell’équipe pluridisciplinare della U.S.L. competente per territorio, da un rappresentante del servizio sociale, dai genitori dell’alunno disabile, per provvedere a stilare il profilo dinamico funzionale, la programmazione e provvedere successivamente alle verifiche dei piani educativi individualizzati.
La C.M. n. 262 affronta anche il problema delle barriere architettoniche che di fatto possono costituire un serio ostacolo per l’inserimento dei disabili nelle scuole secondarie superiori. Essa prevede che il Provveditore agli Studi, in base alle segnalazioni dei Presidi, che rappresentano difficoltà di rimuovere tali barriere e l’impossibilità di assegnare alunni con handicap motorio ad aule facilmente accessibili, attivi il servizio sanitario o l’Ente locale affinché fornisca idonei sussidi e nello stesso tempo individui istituti più vicini dello stesso ordine ai quali indirizzare gli alunni disabili, preoccupandosi di predisporre un piano che consenta gradualmente l’accesso dei disabili a tutti gli Istituti per evitare la concentrazione degli stessi nella medesima scuola o classe.
La circolare avverte, anzitutto, che i Presidi di Scuola media, al momento della preiscrizione del disabile ad una Scuola secondaria di 2° grado, inviino gli elenchi con le preiscrizioni, comunicando la presenza del disabile e specificando i suoi bisogni in relazione al tipo di handicap.
A sua volta il Preside di scuola secondaria, che ha ricevuto la preiscrizione e la documentazione del disabile, comunica il nominativo al gruppo di lavoro del Provveditorato agli Studi con le indicazioni pervenutegli e convoca, a sua volta, il Gruppo di lavoro dell’istituto assieme ai docenti della classe di provenienza del disabile. Il Gruppo di lavoro dell’Istituto, di cui fanno parte rappresentanti dell’Ente locale e delle UU.SS.LL. e i docenti della scuola di provenienza e di destinazione, predispone un “profilo dinamico funzionale” del disabile, in cui si evidenziano le potenzialità dell’alunno, l’eventuale bisogno di assistenza per l’autonomia personale e per la comunicazione, gli aiuti e i presidi necessari e, per gli handicappati psichici, il numero delle ore di attività di sostegno necessarie, individuando fra l’area - umanistica, scientifica e tecnologica - quella di maggiore interesse per il giovane.
Per le preiscrizioni negli Istituti tecnici, professionali ed artistici, la C.M. in esame prescrive un certificato dell’Ufficio medico-legale dell’U .S. L. competente, richiesto dalla famiglia, dal quale risulti la natura dell’handicap e soprattutto il parere se il disabile possa frequentare i singoli indirizzi o sezioni di qualifica dell’Istituto prescelto, nonché se possa svolgere l’eventuale attività lavorativa prevista nell’indirizzo di studio.
Se il parere dell’U.S.L. è negativo, il Preside non può procedere all’iscrizione e convoca i genitori del disabile assieme al Gruppo di lavoro dell’istituto per individuare un nuovo e migliore orientamento scolastico dell’alunno disabile. In linea generale, le iscrizioni dei disabili, tranne i casi già esaminati, non possono essere rifiutate. Se le richieste di iscrizioni sono superiori alla capacità ricettiva dello stesso, occorre dare la precedenza agli alunni disabili.
A conferma della domanda di preiscrizione, il Collegio dei docenti, alla prima riunione utile. esprimerà il parere previsto dalla lettera B, art. 4 D.P.R. 416/74, per individuare la sezione più adeguata ad accogliere il nuovo alunno.
Dopo l’assegnazione dell’alunno alla classe, il Preside convoca il Consiglio di classe sia per predisporre il “piano educativo individualizzato” per il disabile, sia per proporre ed effettuare un corso di aggiornamento del personale docente proprio sulle problematiche dell’integrazione scolastica dei disabili.
Possono organizzarsi corsi di aggiornamento anche per il personale non docente coinvolto nell’attività di integrazione ovvero per gli operatori socio-sanitari della U.S.L. e degli Enti locali interessati ai programmi educativo-riabilitativi.
Il Consiglio d’Istituto, a sua volta, se viene manifestata la necessità di apposito materiale didattico o di strumenti per facilitare l’autonomia e la comunicazione del disabile, può provvedere all’acquisto.
Il Preside, per acquisire ogni notizia utile per facilitare l’elaborazione del piano educativo individualizzato, con riferimento anche a quanto previsto dalla CM. n. 1 / 1988, prenderà contatti con la scuola di provenienza del disabile e chiederà la collaborazione dell’insegnante specializzato che ha seguito l’alunno negli anni precedenti. In materia di frequenza, assistenza personale e sostegno, la CM. n. 262 detta precise disposizioni. Per la nomina dei docenti specializzati, ovvero insegnanti per attività di sostegno, i Provveditori, sulla base del “profilo dinamico funzionale” del disabile, provvedono a tale nomina per l’area disciplinare, ritenuta di maggiore interesse per l’alunno, fra quelle umanistiche, scientifiche o tecnologiche.
I Provveditori, per queste nomine, utilizzano in primo luogo i docenti specializzati delle D.O.A. in servizio nelle scuole secondarie superiori; in mancanza di questi, docenti specializzati in servizio nelle scuole medie che abbiano titolo per accedere all’insegnamento nelle scuole secondarie di 2° grado. Successivamente i Provveditori potranno ricorrere alla nomina di supplenti specializzati attingendo dall’apposito elenco di cui all’O.M. n. 266 del 15/10/1985, purché detto personale supplente possegga i requisiti per accedere all’insegnamento nelle scuole secondarie di 2° grado. Infine potranno essere utilizzati docenti non specializzati delle D.O.A.
In presenza di alunni minorati fisici e sensoriali o che comunque abbiano una riduzione dell’autonomia e della comunicazione, da parte del Provveditore agli Studi dovrà essere richiesto ai Comuni la nomina di assistenti ed accompagnatori (artt. 42, 45 D.P.R. n. 616/1977).
Se vi sono disabili con minorazione visiva ed auditiva, i Provveditorati agli Studi, su richiesta dei Presidi e con riferimento alle intese sottoscritte, chiederanno ai Comuni o alle Amministrazioni provinciali la nomina di assistenti, segnalati dagli stessi interessati e, in mancanza, dalle rispettive associazioni o dalle famiglie. Questo compito di assistenza, previa intesa con il Preside e con la famiglia del disabile, può essere affidato anche agli obiettori di coscienza, operanti presso gli Enti locali. La C.M. avverte che l’attività degli assistenti e degli accompagnatori è limitata alla mera traduzione della volontà del disabile senza modificarne il contenuto.
Le persone a cui sono affidati compiti di assistenza e di accompagnamento devono essere assicurate contro gli infortuni e il rischio di danni a terzi, con spesa a carico dell’Ente. In ogni caso tali persone non possono instaurare con l’Amministrazione scolastica alcun rapporto di lavoro, ed, essendo considerati quindi estranei, devono rilasciare apposita dichiarazione con la quale esonerano l’Amministrazione stessa da eventuali danni che la loro presenza a scuola potrebbe cagionare a cose, a sé e a terzi.
Compete al Preside vigilare sul comportamento tenuto dagli assistenti e dagli accompagnatori nell’ambito della scuola e chiederne eventualmente l’allontanamento e la sostituzione in ogni momento sulla base di richieste motivate.
La C.M. n. 262 precisa anzitutto che i programmi di tutti gli ordini di scuole secondarie di 2° grado sono estremamente specifici e tipizzati in quanto sono volti al conseguimento di un livello di formazione, anche professionale, che dà luogo al rilascio di un titolo di studio avente valore legale.
Conseguentemente l’integrazione scolastica dei disabili non può limitarsi alla semplice socializzazione in presenza, ma deve garantire, di regola, che tutti gli alunni di quel determinato indirizzo di studi, acquisiscano gli insegnamenti impartiti.
Pertanto i disabili fisici e sensoriali non sono dispensati dallo svolgimento di alcuna parte dei programmi, salvo che non si debbano far svolgere attività equipollenti.
Inoltre il fatto che i programmi delle scuole secondarie di 2° grado non sono flessibili, ma rigidi, comporta che, in assenza di una espressa norma di legge derogatoria, i docenti non possono valutare in maniera discrezionale gli alunni al termine del ciclo di studi che si completa con il rilascio di un diploma avente valore legale. Nel biennio della scuola superiore, relativamente agli alunni con handicap psichico, tenuto conto delle loro potenzialità, è consentito far svolgere programmi semplificati e diversificati, rispetto a quelli del resto della classe, dopo che sono stati concordati dal Consiglio di classe.
A tali alunni, al termine del biennio, viene rilasciato un attestato di frequenza non avente effetti legali, ma che può essere utilizzato per l’accesso alla formazione professionale. Ciò avviene se lo svolgimento dei programmi semplificati e diversificati non ha consentito di raggiungere un livello di preparazione conforme agli obiettivi didattici e culturali previsti dai programmi d’insegnamento.
Per lo svolgimento delle prove di esame scritte, grafiche, scrittografiche, orali e pratiche, sono applicabili, con gli opportuni adattamenti, le norme previste per gli esami di maturità dalla C.M. 163/1983, integrate dalle norme dalla C.M. 262 per quanto riguarda l’utilizzazione degli assistenti.
Per gli alunni con handicap fisico e sensoriale è ammesso l’uso di moderni strumenti tecnologici, per esempio, macchine dattilografiche e computer con tastiera espansa, computer munito di scheda di sintesi vocale, dattilobraille..., per l’effettuazione delle prove di esame, che possono, comunque, essere sostituite da prove alternative, come prevede l’art. 102 del R.D. 653/1925.
Se l’effettuazione di queste avviene in locali diversi dalla classe e richiedono tempi più lunghi, sarà compito del docente interessato, d’intesa con il Preside, predisporre la necessaria vigilanza.
Per quanto riguarda la valutazione al termine dell’anno scolastico, il Consiglio di classe dovrà stilare una relazione che tenga conto del P.E.I. e delle notizie fornite da ciascun docente.
La relazione dovrà indicare per quali discipline siano stati adottati particolari accorgimenti didattici, le attività integrative e di sostegno svolte, anche in sostituzione parziale dei programmi previsti per alcune discipline.
Tenendo presenti questi elementi, gli alunni disabili psichici possono essere sottoposti a prove di valutazione differenziate, ma coerenti con il livello degli insegnamenti impartiti e adeguate a valutare il progresso dell’allievo in rapporto con le sue potenzialità e alla finalità dei programmi complessivi del biennio o del successivo triennio.
La C.M. n. 262 si preoccupa di precisare che non è ammessa nessuna valutazione differenziata nei confronti dei disabili fisici e sensoriali, per i quali è solo ammesso l’uso di particolari sussidi didattici appositamente predisposti dai docenti per meglio accertare il livello di apprendimento raggiunto.
In seguito a dubbi e perplessità insorti in tema di valutazione finale dei disabili inseriti nelle scuole secondarie di 2° grado, il M.P.l. ha emanato la CM. n. 193 del 2 giugno 1989 con la quale chiarisce che per gli alunni disabili psichici, frequentanti il primo anno di scuola secondaria superiore, che abbiano svolto programmi semplificati e diversificati rispetto a quelli dei compagni di classe, i Consigli di classe, in via sperimentale, allo scopo di non interrompere il processo formativo in atto, che viene arricchito anche dall’integrazione del gruppo di classe, possono limitarsi a deliberare l’ammissione alla frequenza alla classe successiva, senza l’obbligo di attribuire voti.
L’O.M. 193 fa obbligo, inoltre, al medesimo Consiglio di classe di inserire nel verbale relativo allo scrutinio della classe, l’adozione del predetto provvedimento, facendo specifico riferimento sia al paragrafo 8 della C.M. 262 (relativo alla valutazione del disabile psichico) sia alla sentenza della Corte Costituzionale che sancisce che per gli alunni con handicap capacità e merito vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione.
Queste indicazioni, dettate dall’O.M. 193 per il biennio, valgono anche per l’ammissione alla terza classe di istituti in cui il primo biennio non costituisca fase conclusiva di ciclo.
Infine la C.M. n. 262 istituisce presso l’Ufficio Studi e Programmazione del M.P.I. un Osservatorio permanente per la conoscenza e lo studio di tutte le problematiche interistituzionali ed interprofessionali relative all’integrazione scolastica di alunni disabili. L’osservatorio, composto da dirigenti del M.P.l., da esperti e da rappresentanti delle associazioni di disabili e delle loro famiglie, segue lo svolgersi del fenomeno dell’integrazione scolastica, lo collega con gli interventi precoci antecedenti la scolarizzazione, raccorda l’integrazione scolastica con le problematiche dell’orientamento e della formazione professionale, al fine di facilitare un corretto inserimento lavorativo e sociale dei disabili.
La C.M. n. 262 ha provocato reazioni di tipo opposto. Da un lato vi sono stati sinceri entusiasmi “garantisti”, perché veniva sancito il diritto pieno allo studio di una particolare categoria di cittadini. Dall’altro lato si è avvertita una certa preoccupazione, non sempre conclamata, ma non per questo meno sentita, per i problemi che l’inserimento dei disabili psichici poteva determinare nelle scuole secondarie di 2° grado.
Senza porsi sull’onda del garantismo di principio e senza seguire la scia delle preoccupazioni problematiche, è doveroso fare qualche riflessione sulla C.M. 262 per cercare di evidenziarne limiti e prospettive, pur senza trascurare certi aspetti negativi dell’O.M. 193.
Quest’ultima ha ridimensionato la logica che deve essere alla base dell’inserimento dei disabili nella scuola e cioè l’impegno per ogni possibile recupero, in termini di formazione e autonomia personali, nonché di possessi culturali dei vari soggetti, a qualunque categoria appartengono.
L’O.M. 193, invece avverte che la promozione dalla prima alla seconda classe dei disabili psichici può avvenire in modo automatico dietro apposita delibera del Consiglio di classe; aggiunge, inoltre, che tale possibilità è estensibile per l’ammissione alla 3 classe di Istituti in cui il primo biennio non costituisca fase conclusiva di ciclo.
Queste disposizioni ci sembrano limitative e contrastanti con la stessa sentenza n. 215 della Corte Costituzionale che auspicava un recupero dei disabili con ogni mezzo, cioè attraverso la predisposizione di tutti gli interventi pedagogici, sociali, culturali, strumentali per consentire “apprendimenti globalmente rapportabili all’insegnamento impartito a tutti gli alunni di quel determinato indirizzo di studi”.
Questa elargizione di promozione automatica esclude ogni valutazione dinamica basata sull’efficacia degli interventi e sulla validità delle strategie didattiche.
Quello che preoccupa maggiormente è il pericolo della responsabilizzazione di tanti docenti che vedono totalmente frustrati, per la meccanicità dell’ammissione al 2° anno, tutti i loro tentativi sul piano educativo e culturale.
Come ha notato il C.N.P.l. “traspare dalla C.M. la volontà di non assimilare questi soggetti - e particolarmente quelli affetti da handicap psichico - agli altri alunni... si rischia di ridurre l’integrazione scolastica degli handicappati psichici ad un puro e semplice “parcheggio” dannoso sia ai soggetti interessati sia alla scuola nel suo complesso”. L’impressione che si ricava dalle due citate circolari è che si è voluto in qualche modo adempiere al precetto della Corte Costituzionale e si è creata una facciata di accettazione, non un solido piano costruito con impegno, competenza e mezzi adeguati per un aiuto intelligente, un sostegno concreto, per interventi studiati caso per caso.

venerdì 11 gennaio 2008

FASE MEDICO _ SOCIALE


Dopo che con la legge n. 517/77 si era passati da un’enfatizzazione del trattamento quasi terapeutico ad una prevalenza quasi esclusiva degli aspetti relazionali, ci si rende conto che bisogna arrivare ad un nuovo punto di equilibrio. Comincia ad affiorare la consapevolezza che, solo saldando insieme entrambi gli aspetti, si può tentare con più scientificità il discorso dell’integrazione scolastica. Quando la scuola, dalla materna all’istruzione secondaria di secondo grado, avrà la piena collaborazione delle strutture sanitarie e gli aiuti degli Enti locali, così come previsti sia dalla legge n. 517 che dalla circolare ministeriale n. 159 del 28 giugno 1979 (della quale si riporta la parte principale), potrà iniziare il nuovo discorso socio-terapeutico dell’integrazione:
“Inoltre la L. n. 517 del 4/8/77 agli articoli 2 e 7 prevede, al fine di assecondare il processo di integrazione di alunni portatori di handicaps, che Stato ed Enti locali, secondo le rispettive competenze, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale, assicurino “la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e le forme particolari di sostegno”.
Una corretta interpretazione di dette norme è essenziale per assicurare la reciproca, costruttiva collaborazione tra scuola e servizi specialistici, che deve tendere a favorire l’azione di prevenzione da sviluppare nel territorio e la massima integrazione sia scolastica che sociale dei soggetti portatori di handicaps”.
L’integrazione, quindi, potrà essere conseguita nel migliore dei modi possibili, se si riescono a coinvolgere attorno all’handicappato tutti gli interventi di cui ha necessità: da quelli familiari rispondenti ai bisogni di amore, sicurezza e tranquillità, a quelli didattico-educativi della scuola e a quelli medico-specialistico-terapeutici e assistenziali degli Enti.
Infatti, il Ministero della Pubblica Istruzione il 22 settembre del 1983 dirama la circolare n. 258, che ha come oggetto “Indicazioni di linee d’intesa tra Scuola, Enti locali e UU.SS.LL. in materia di integrazione scolastica degli alunni handicappati”, suggerendo ai Provveditori l’opportunità di stipulare delle intese con gli Enti locali e l’U.S.L. presenti sul territorio, che sebbene non avessero i canoni della legalità, avrebbero tuttavia rappresentato un valido documento di impegno a collaborare, ognuno con le proprie competenze, con la Scuola, tenendo costantemente presente il discorso dell’integrazione scolastica e sociale degli alunni handicappati.
Con le indicazioni suggerite dalla circolare 258/83, ogni Ente dovrebbe assicurare i seguenti servizi e prestazioni:
1) U.S.L.:
- predisporre un apposito ufficio per la convalida delle documentazioni mediche presentate dai genitori a giustificazione della richiesta di particolari forme di sostegno per il figliolo portatore di handicap;
- il medesimo ufficio dovrebbe provvedere alla valutazione delle difficoltà del bambino handicappato, qualora queste vengano evidenziate dalla scuola, previo contatto con la famiglia;
- il medesimo ufficio, inoltre, dovrebbe provvedere a sintetizzare in un apposito “profilo-diagnosi”le particolari difficoltà dell’allievo ed aggiornare progressivamente tale profilo ad ogni variazione della situazione, fornendo gli elementi valutativi essenziali alla scuola richiedente, nel momento del passaggio da un ordine di scuola all’altra. L’U.S.L. dovrebbe apprestare stabilmente:
- i servizi di medicina scolastica;
- le prestazioni di medici specialistici;
- prestazioni di terapisti della riabilitazione;
- il servizio centri materno-infantili.
2) Per quanto riguarda, invece, le Amministrazioni comunali, esse dovrebbero provvedere ai seguenti servizi:
- adeguamento degli edifici scolastici esistenti e degli arredi alle disposizioni vigenti per la tutela dei portatori di handicap;
- assegnazione di personale assistente preparato a collaborare con gli insegnanti, specialmente per gli alunni non autosufficienti, artt. 42- 45 del D.P.R. 616/77;
- servizi di trasporto e mensa, nonché fornitura di sussidi e materiali didattici necessari per l’attuazione della programmazione educativa.
3) Infine, l’Amministrazione scolastica si dovrà impegnare a fornire i seguenti servizi e prestazioni:
- insegnanti di sostegno con relativo titolo di specializzazione;
- costituzione e consulenza di un Gruppo di lavoro per l’attuazione del diritto allo studio di tutti gli alunni, compresi gli handicappati;
- progettazione e organizzazione di corsi di aggiornamento sulla problematica dell’inserimento ed integrazione scolastica degli alunni handicappati. La partecipazione a detti corsi sarà estesa agli operatori socio-sanitario- assistenziali appartenenti agli altri Enti.
La circolare n. 258/83 rappresenta una tappa fondamentale sulla via dell’ integrazione scolastica con i compiti assegnati ai vari Enti, dimostrando come sia complesso il problema e come sia risolvibile solo con la collaborazione di tutti.
La piena consapevolezza della cooperazione ha fatto sì che il Ministero abbia diramato nel 1985 la circolare n. 250, avente per oggetto:
“Azione di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap”. In essa troviamo descritta la validità della “diagnosi funzionale” come strumento operativo necessario ai fini educativi del minorato.
Essa testualmente così si esprime:
“Alla segnalazione dell’alunno come portatore di handicap ed all’acquisizione della documentazione attestante tale situazione deve far seguito, dopo un’attenta osservazione dell’alunno stesso, una “diagnosi funzionale” ad un intervento educativo e didattico adeguato, alla cui definizione provvederanno, ognuno per la parte di competenza, gli operatori delle UU. SS. LL., degli Enti locali e della Scuola con la collaborazione dei genitori.
La “diagnosi funzionale” dovrà porre in evidenza, accanto ai dati anagrafici e familiari e a quelli risultanti dalle acquisite certificazioni dell’handicap, il profilo dell’alunno dal punto di vista fisico, psichico, sociale e affettivo, comportamentale, e dovrà mettere in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le relative possibilità di recupero, sia le capacità ed abilità possedute, che devono essere sostenute. sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate.
I successivi itinerari di preparazione dell’attività scolastica saranno indirizzati a rendere gli obiettivi e gli interventi educativi e didattici quanto più possibile adeguati alle esigenze e potenzialità evidenziate nella “diagnosi funzionale” dell’alunno, e daranno luogo all’elaborazione di un “progetto educativo individualizzato” ben inserito nella programmazione educativa e didattica. Tale programma personalizzato di integrazione e di apprendimento dovrà essere finalizzato a far raggiungere a ciascun alunno portatore di handicap in rapporto alle sue potenzialità, attraverso una progressione di traguardi intermedi ed utilizzando metodologie e strumenti differenziati e diversificati, obiettivi di autonomia, di acquisizione di competenze e abilità (motorie, percettive, cognitive, comunicative, espressive) e di conquista degli strumenti operativi basilari (linguistici e matematici)”.
Dunque se la scuola oggi si propone come obiettivo l’integrazione scolastica, non deve essere lasciata sola, ma deve essere supportata e sorretta da tutte le agenzie sociali e scientifiche che operano sul territorio. E’ una difficile scommessa sociale da vincere e la scuola da sola non basta. Tutti devono collaborare se si vuole dare piena attuazione al dettato costituzionale che, all’art. 3, afferma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge... E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...”.
E’ dall’applicazione di questo principio costituzionale che nasce la sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3giugno 1987, che dichiara illegittimo il 3° comma, art. 28, della legge 118/71, là dove, in riferimento ai portatori di handicap, prevede che “sarà facilitata”, anziché disporre che “assicurata la frequenza” delle scuole medie superiori.

lunedì 7 gennaio 2008

LE AMBIGUITA' DELL'INSERIMENTO


I docenti di ruolo, in base all’articolo 14 della legge 270 del 20 maggio 1982 hanno, anche, la possibilità di avere il semiesonero per partecipare ai corsi di specializzazione, effettuati ai sensi del D.P.R. n. 970/75. L’articolo così recita; “L’utilizzazione del personale docente secondo quanto previsto nei commi sesto e ottavo del presente articolo è disposta dal direttore didattico o dal capo dell’istituto, nei limiti numerici risultanti dalla disponibilità del personale di ruolo assegnato al circolo o alla scuola, purché il personale docente così utilizzato sia sostituibile con personale di ruolo assegnato al circolo o alla scuola media. Nei limiti delle disponibilità di cui al presente comma, è possibile concedere esoneri parziali o totali dal servizio per i decenti di ruolo che siano impegnati in attività di aggiornamento o che frequentino regolarmente i corsi per il conseguimento di titoli di specializzazione e di perfezionamento attinenti la loro utilizzazione e richiesti dalle leggi e dagli ordinamenti scolastici, ivi compresi i corsi di cui all’articolo 8 del de- creto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n 970, purché organizzati,nell’ambito delle disponibilità finanziarie previste dall’apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della pubblica istruzione, sulla base di convenzioni a tal fine da questo stipulate, da istituti universitari. Alle convenzioni con gli istituti universitari si applicano le disposizioni di cui all’articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11luglio 1980, n. 382”.
La legge n. 270/82 rappresenta un’evoluzione sul piano normativo anche se pone ancora ambiguità e aspetti negativi. Basti pensare all’articolo 12, al comma dove stabilisce che per la scuola media ogni insegnante di sostegno dovrà seguire quattro alunni handicappati.
Se consideriamo la legge n 517/77 che assegnava ad ogni docente di sostegno tre alunni, con un esiguo orario settimanale di sei ore, possiamo capire come la legge 270 non rappresenti in tal senso un miglioramento, riducendo ulteriormente la disponibilità di ore di sostegno per ogni alunno disabile.
Comunque, al di là del permanere di punti negativi, una certa evoluzione sul piano legislativo c’è stata; e ciò dimostra che negli ultimi anni l’esperimento dell’inserimento nella scuola è stata considerata con maggiore spirito critico rispetto al passato. Basti considerare la legge n. 118/71, la quale permetteva l’inserimento scolastico, nelle classi comuni, soltanto degli invalidi civili che non avessero delle “difficoltà persistenti” a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, mentre la n. 517/77 dava la possibilità anche ai più gravi di frequentare la normale scuola dell’obbligo assieme ai normodotati. Se per un verso si è fatto giustizia dei più “gravi”, per l’altro verso l’integrazione è stata molto spesso al di sotto delle aspettative, quando addirittura non si è risolta in un dannoso fallimento. L’inserimento massiccio e selvaggio a volte è stato condotto all’insegna della socializzazione, e questa impostazione ha contribuito ad accentuare l’approccio pressappochistico, improvvisatorio e fondamentalmente non scientifico al problema. Se gli handicappati devono, in larghissima misura, essere inseriti nella scuola di tutti, in quanto ciò costituisce un reale ed immediato vantaggio, l’inserimento non dev’essere operato alla cieca, ma dev’essere meditato scientificamente, con il coinvolgimento di tutta la struttura scolastica, poiché è questa che deve adeguarsi all’alunno disabile o normodotato, e non viceversa.
E’ la scuola che deve pedagogicamente strutturarsi diversamente da come è stata finora, per poter rispondere ai bisogni di tutti gli alunni, considerando che l’istituzione scolastica è anche un servizio sociale.
Come abbiamo detto prima, l’aspetto socializzante dell’inserimento ha funzionato finora come alibi per non doversi confrontare con i problemi difficili e gravosi del processo stesso, la cui soluzione oggi appare non più dilazionabile nel tempo. Non basta più inserire il portatore di handicap in una classe normale per immaginare un effetto di “normalizzazione” e perché un bambino “diverso” venga dalle UU.SS.LL. dichiarato inseribile in un contesto normale.
Non è la presenza dei normodotati che agisce come deterrente per il recupero dell’disabile, quanto, invece, la presenza di operatori scolastici ben disposti o professionalmente preparati, sanitari, operatori socio-assistenziali, ecc., strutture adeguate che, per non pochi casi, sono ancora da istituire. Se, infatti, alla quasi diffusa impreparazione degli insegnanti anziani e alla rigidità delle strutture scolastiche, si aggiunge il mancato supporto delle risorse presenti nel territorio, si può ben comprendere come l’integrazione risulta avventurosa, piena di contraddittorietà e precarietà, con il concreto rischio di vedere il disabile più emarginato rispetto alle vecchie strutture delle scuole speciali.
Lo Stato, se veramente crede alla logica dell’integrazione scolastica, deve garantire classi meno numerose, insegnanti di sostegno e curriculari specializzati e qualificati, scuole sperimentali a tempo pieno, attrezzature didattiche, interventi terapeutici e sanitari. Se ciò non avverrà, negli anni futuri si avrà la negativa conseguenza di aver ingannato sia i bambini handicappati, che i parenti degli stessi, con un notevole ed inutile esborso di denaro pubblico, senza aver centrato l’obiettivo primario dell’integrazione e con la sola consolazione di aver dato un contributo positivo al problema occupazionale.

domenica 6 gennaio 2008

FUNZIONI E COMPITO DELL'INSEGNANTE DI SOSTEGNO

Secondo il D.P.R. n. 970 del 31 ottobre 1975 il docente in possesso del titolo biennale di specializzazione è assegnato in classi normali per attivare “interventi individualizzati di natura integrativa in favore della generalità degli alunni, ed in particolare di quelli che presentino specifiche difficoltà di apprendimento” (art. 9).
Pertanto, l’insegnante di sostegno deve favorire l’accoglimento dei minorati nella comunità scolastica, senza creare classi speciali o differenziali; e per raggiungere tale obiettivo si dovrà avvalere di competenze specifiche nell’individualizzazione degli interventi didattici e di tecniche specifiche di educazione differenziata; nonché dev’essere in grado di coordinare intorno all’alunno handicappato il quadro generale degli interventi, occupandosi direttamente di quelli più specificatamente didattico-riabilitativi propri della didattica speciale.
Inoltre, è bene ribadire che l’insegnante di sostegno ha pieno diritto con pari, se non maggiore. dignità professionale alla programmazione e alla verifica collegiale del lavoro didattico svolto dal gruppo docente delle classi interessate all’integrazione.
Gli interventi dell’insegnante di sostegno vanno previsti e ordinati sulla base di un preventivo lavoro di accertamento di bisogni e di determinazione di obiettivi e metodi educativi, elaborati in collaborazione con gli altri insegnanti; ciò anche perché i modelli di intervento non siano concorsuali e non si riducano ad un’operazione avulsa dai piani educativi già programmati dall’organo collegiale, di cui il docente fa parte integrante.
Pertanto, gli interventi di sostegno “debbono essere aggiuntivi e non sostitutivi dell’attività curriculare” e gli alunni handicappati non devono essere sottratti alle normali attività delle classi, seppure in modo differenziato ed adeguato alle singole capacità individuali e con momenti di interventi specifici non praticabili all’interno del gruppo classe. Non può esistere integrazione scolastica di alunni portatori di handicaps, se prima non si sia stabilita una positiva interazione tra docente di sostegno e i docenti curriculari.
Inoltre la circolare ministeriale n. 169 del 21 luglio 1978 illustra in modo chiaro la specifica figura dell’insegnante di sostegno all’interno della compagine educativa della scuola:
Nell’ambito di queste attività è da rilevare che l’integrazione degli alunni portatori di handicaps comporta l’intervento di insegnanti specializzati, il cui compito consiste nella predisposizione di specifiche forme di attività rivolte a favorire il pieno inserimento degli alunni nel gruppo.
Si ritiene pertanto che il modo più corretto per raggiungere questo obiettivo educativo debba realizzarsi, nel contesto globale dell’attività scolastica, mediante specifici interventi promossi in determinati momenti del lavoro didattico, in rapporto alle particolari esigenze dei singoli alunni e tenendo presentite caratteristiche programmatiche della classe e l’articolazione dei gruppi di alunni.
La circolare n. 199 del 28 luglio 1979 rafforza la precedente, aggiungendo che: esperienze positive, che fortunatamente sono più numerose di quanto non si possa pensare, si verificano soprattutto dove la responsabilità dell’integrazione è assunta non dalla singola classe ma da tutta la comunità scolastica, che costituisce di per sé uno dei sostegni più validi. Altro elemento determinante per il successo dell’integrazione, secondo esperienze ormai acquisite, è la precisa individuazione delle condizioni soggettive del bambino, degli handicaps veri e propri e degli impedimenti che ne condizionano lo sviluppo e, di conseguenza, dei suoi specifici “bisogni educativi”. Terza condizione è l’esistenza di insegnanti di classe o di sostegno (o meglio: congiuntamente di classe e di sostegno e, per la scuola media, indipendentemente dalla materia che essi professano) capaci di rispondere ai bisogni educativi degli alunni con interventi calibrati sulle condizioni personali di ciascuno. Anche il processo di socializzazione esige sia la conoscenza della specifica situazione del soggetto, sia quelle del gruppo e della comunità scolastica in cui esso viene inserito”.
Tutto ciò è stato affermato sulla carta, perché la realtà è stata, a volte, ben diversa: docenti curriculari che non collaborano con gli insegnanti di sostegno, i quali spesso vengono considerati di una serie inferiore e come tali devono badare solamente al portatore di handicap, un alunno che costituisce elemento disturbante della classe.
Ritornando alla legge n. 517/77, possiamo affermare, senza tema di smentita, che nelle intenzioni del legislatore si tratta di un’ottima legge, ma che presenta - affermiamo noi - alcuni punti ambigui che lasciavano spazio a molte forme di involuzione, quale la quantificazione rigida, in termini orari, del sostegno da assegnare per ogni alunno handicappato. Questo sostegno veniva disposto mediante alchimie aritmetiche, contrastanti duramente con la realtà che gli insegnanti si trovavano ad affrontare quando il tipo o la gravità del “diverso” erano tali da essere richiesti interventi plurimi o comunque articolati.
Inoltre, la legge 517 trascurava le attività di sostegno affidate ad insegnanti specializzati nelle sezioni della scuola materna. Noi sappiamo quanto sia necessaria la presenza del bambino handicappato nelle scuole materne, per offrire allo stesso migliore occasione di inserimento ed integrazione nella scuola dell’obbligo. Se, infine, consideriamo la non esistente definizione delle specifiche competenze dei vari Enti che operano nel territorio e alla certificazione attestante la tipologia dell’handicap e relativa gravità, avremmo un quadro confuso della situazione scolastica là dove gli insegnanti non erano stati ben preparati alla nuova realtà, che la stessa legge presentava. Infatti mancò un valido supporto d’aggiornamento, il quale consentisse agli operatori scolastici di accogliere in modo naturale il soggetto in difficoltà, senza continue crisi di ansietà e di scoraggiamento.
Tutto ciò non ha offerto un servizio adeguato ai soggetti handicappati, che venivano inseriti nelle classi della scuola dell’obbligo in modo selvaggio, senza alcun criterio scientifico: come se bastasse la sola vicinanza del bambino normodotato per operare il “miracolo” del recupero e della piena integrazione scolastica.
Si è sentito cosi il bisogno di correttivi, che sono stati portati dalla legge n. 270 del 20 maggio 1982, comunemente chiamata “legge sul precariato”. Questa legge ha avuto il merito di ridimensionare, almeno in parte, alcune ambiguità della normativa precedente. Il sostegno viene istituito anche nella scuola materna; inoltre tutti i posti di sostegno, sia nella scuola materna che nell’elementare e nella media, sono di ruolo alla stregua degli altri posti, da ricoprire mediante concorsi e con graduatorie e titoli specifici.
L’art. 12 recita:
“Ciascuna sezione di scuola materna è costituita con un numero massimo di 30 bambini ed un numero minimo di 13 bambini, ridotti, rispettivamente, a 20 e a 10, per le sezioni che accolgono bambini portatori di handicaps.
La consistenza complessiva delle dotazioni organiche dei ruoli provinciali della scuola materna è calcolata aggiungendo anche i posti di sostegno da istituire in ragione, di regola, di un posto ogni quattro bambini portatori di hanidicaps. Le dotazioni organiche dei ruoli provinciali della scuola elementare e della scuola media comprendono anche i posti di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps, di tempo pieno, di attività integrative, di libere attività complementari e di attività di istruzione degli adulti finalizzate al conseguimento del titolo di studi.o I posti di libere attività complementari sono costituiti con quindici ore di insegnamento. Nelle scuole medie integrate a tempo pieno sono istituite, sulla base dei criteri stabiliti con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, cattedre-orario comprensive delle ore di insegnamento delle discipline curriculari, delle ore di studio sussidiario e delle libere attività complementari.
Le dotazioni organiche di cui al presente articolo sono rideterminate annualmente entro il 31 marzo. In sede di rideterminazione degli organici si procede all’aggiornamento del numero dei posti di sostegno a favore dei bambini o degli alunni portatori di handicaps della scuola materna, elementare e media, in modo da assicurare di regola un rapporto medio di un insegnante dì sostegno ogni quattro bambini o alunni portatori di handicaps. La rideterminazione dei posti di cui al presente comma, esclusi quelli relativi agli alunni portatori di handicaps, non può comportare, in ciascuna provincia, un aumento dei numero dei posti stessi funzionanti alla data di entrata in vigore della presente legge.
Per la scuola media la ripartizione dei posti di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps, è effettuata secondo la procedura ed i criteri previsti dall’‘ottavo comma del successivo articolo 13.
Le disposizioni contenute nei presente articolo si applicano con riferimento al 31 marzo dell’anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Gli insegnanti di ruolo in possesso del titolo biennale di specializzazione hanno la possibilità di essere utilizzati sul sostegno ai sensi dell’art. 14:
“Il personale docente di ruolo, incluso - nel rispetto delle priorità indicate nel primo comma del presente articolo - quello delle dotazioni aggiuntive, che sia in possesso di specifici requisiti, può essere utilizzato anche per periodi di tempo determinati, per tutto o parte del normale orario di servizio, in attività didattico-educative e psicopedagogiche previste della programmazione di ciascun circolo didattico o scuola, secondo criteri e modalità da definirsi mediante apposita ordinanza del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, con particolare riferimento alle attività di sostegno, di recupero e di integrazione degli alunni portatori di handicaps e di quelli che presentano specifiche difficoltà di apprendimento nonché per insegnamenti speciali e attività integrative o complementari previsti dalle leggi vigenti.
E’ abrogata la disposizione prevista, per la scuola media, al secondo comma dell’articolo 7 della legge 4 agosto 1977, numero 517, che stabilisce l’utilizzazione dell’insegnante di sostegno nel limite di sei ore settimanali per ciascuna classe”.

sabato 5 gennaio 2008

FUNZIONI E COMPITI DEL GRUPPO DI LAVORO



Le funzioni e i compiti del Gruppo di lavoro saranno successivamente delineati con la C.M. 3 agosto 1977, n. 216, che così recita:
“Nelle esperienze di inserimento di alunni handicappati che hanno conseguito risultati soddisfacenti si è spesso rivelata preziosa l’opera dei “Gruppi di lavoro” istituiti in ogni provincia a seguito della circolare numero 227 dell’8/8/975.
Com'è noto, il “Gruppo di lavoro è costituito, di norma, da un Ispettore tecnico, un Preside, un Direttore didattico e tre docenti esperti in educazione speciale (uno di scuola media, uno di scuola elementare ed uno di scuola materna), ai quali si aggiungono i docenti o dirigenti che hanno frequentato i corsi nazionali di formazione e che ancora non ne facciano parte.
Per il prossimo anno scolastico un componente del gruppo, che abbia frequentato i corsi sopracitati, su proposta del Provveditore agli Studi, sarà comandato presso il gruppo stesso a norma dell’art. 79 del D.P.R. n. 417.
Il personale comandato, assicurando la continuità della presenza del gruppo presso il Provveditorato agli Studi, consentirà così la costituzione di un necessario punto di riferimento per i rapporti di cui il gruppo sarà tramite: in particolare, assicurerà la propria specifica competenza nell’ambito delle attività di formazione e aggiornamento.
I componenti del gruppo possono designare fra di loro un coordinatore. Nel caso che, per qualche motivo, venga a cessare la presenza di un componente, il Provveditore ne cura la sostituzione con altra unità di personale dello stesso ruolo.
Pur rimanendo ferma la composizione del gruppo, alle riunioni dello stesso potranno essere invitati, ove il tema da trattare lo richieda, altri docenti e dirigenti scolastici, esperti, specialisti, operatori assistenziali, rappresentanti degli enti locali, delle famiglie, ecc.
Il Gruppo di lavoro ha funzioni consultive nei riguardi del Provveditore agli Studi in materia di educazione speciale, di integrazione degli alunni handicappati nelle scuole comuni, e di aggiornamento degli insegnanti in tali materie.
Si connota pertanto quale struttura di servizio, di animazione e di coordinamento fra le scuole e l’Amministrazione.
Pur lasciando a ciascun gruppo ampia libertà di organizzarsi come struttura flessibile, sembra utile indicare qui di seguito linee di azione per un comune orientamento. I gruppi avranno cura di sviluppare le seguenti attività:
1) Conoscenza dei fenomeni sul territorio provinciale
- Raccolta di dati sugli alunni portatori di deficit psico-fisici o sensoriali e delle segnalazioni dei casi;
- ricognizione delle strutture di appoggio, delle caratteristiche degli edifici scolastici e delle risorse messe a disposizione dagli Enti locali e da altri Enti;
- consultazioni con gruppi di operatori scolastici ed assistenziali per verificare i dati raccolti; - registrazione in termini concreti della disponibilità dei servizi che la Regione e gli Enti locali, ciascuno per propria competenza, potranno e dovranno predisporre per concorrere alla realizzazione dell’integrazione;
- classificazione, conservazione ed aggiornamento dei dati.

2) Attività di coordinamento e di programmazione
- Interventi presso le scuole, possibilmente per area distrettuale. per una ampia informazione sull’integrazione degli handicappati;
- previsione, mediante l’elaborazione dei dati raccolti, dei problemi insorgenti nelle diverse scuole per l’immissione di alunni handicappati;
- studio di proposte alternative all’attuale struttura e collocazione delle scuole speciali; - proposte di utilizzazione dei posti di organico disponibili e di istituzione di nuovi posti; - coordinamento dell’azione delle équipes psico-socio-pedagogiche operanti sul territorio provinciale;
- eventuali proposte di sperimentazione e successivi interventi a sostegno;
- collaborazione specifica e diretta con il Provveditore agli studi al fine di programmare un coordinato piano di azione per l’integrazione degli
handicappati nelle scuole comuni.
3) Attività di aggiornamento
- Promozione di un ‘attività permanente di aggiornamento nell’ambito dei consigli di classe e interclasse, dei collegi dei docenti, di gruppi interscuole e intercircoli;
- aggiornamento specifico (sensibilizzazione e prima informazione dei docenti - utilizzazione della preparazione specifica degli operatori mediante il loro intervento nei consigli di classe e interclasse e nei collegi dei docenti - utilizzazione delle scuole dove è in atto l’integrazione come centri permanenti di aggiornamento - incontri fra scuole di diverso grado per facilitare i processi di integrazione - analisi delle istituzioni in rapporto al problema dell’integrazione scolastica - problemi di collaborazione interprofessionale o intersettoriale).
Anche a questi fini il gruppo dovrebbe proporre al Provveditore agli Studi ipotesi di rapporti o relazioni con le scuole della provincia (medie, elementari e materne), con gli organi collegiali, con la Regione e gli Enti locali, con i consorzi sociosanitari, con gli enti assistenziali, con le associazioni professionali e sindacali, con i circoli culturali, con la stampa locale”.
Questa nuova posizione, che via via emergeva, era definitivamente affermata dalla legge 4 agosto 1977, n. 517, la quale, traendo spunto dal particolare aspetto socializzante della scuola “a tempo pieno”, di cui alla legge del 1971, istituiva in maniera generalizzata la prassi dell’inserimento degli alunni handicappati nella scuola normale e offriva loro, senza distinzioni e limitazioni di sorta (come faceva la legge n. 118/71) questa forma di scuola come lo strumento più idoneo a risolvere i problemi di recupero, prescindendo del tutto da ogni tipo di scuola o istituzione Speciale o Differenziale.
Finalmente l’inserimento degli alunni handicappati nelle classi normali veniva sancito in modo chiaro e concreto da una legge dello Stato. Il principio del diritto allo studio, della formazione della persona e del cittadino, veniva legiferato, con conseguente obbligo da parte degli organi dello Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impedivano l’affermarsi dell’articolo 34 della nostra Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”.
La legge n. 517 accoglieva nella comunità scolastica e nelle proprie strutture tutti i ragazzi, a prescindere dalle loro condizioni sociali e dai difetti psico-fisici e sensoriali. Senza dubbio questa legge si colloca in ambito europeo, come uno strumento di conquista di diritti sociali, ai primissimi posti, rivoluzionando, nel contempo, il modo di fare scuola: non più gestita dal singolo insegnante, ma collegiale con specifiche programmazioni. La scuola diventa a misura del singolo alunno, rapportandosi agli effettivi bisogni di ogni discente, sia esso normale che handicappato, e nelle attività integrative trovano posto quegli insegnamenti che favoriscono l’integrazione dei disabili.
Infatti gli artt. 2 - riferito alla scuola elementare - e 7- alla Scuola Media - della legge 517 dispongono quanto segue:
Art. 2: Fermo restando l’unità di ciascuna classe, al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
Nell’ambito ditali attività la scuola attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di insegnanti specializzati assegnati ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n. 970, anche se appartenenti a ruoli speciali, o ai sensi del quarto comma dell’art. I della legge 24 settembre 1971, n. 820. Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli Enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal Consiglio scolastico distrettuale.
Il Collegio dei docenti elabora, entro il secondo mese dell’anno scolastico, il piano delle attività di cui al precedente primo comma sulla base dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo e delle proposte dei consigli di interclasse, tenendo conto, per la realizzazione del piano, delle unità di personale docente comunque assegnate alla direzione didattica nonché delle disponibilità edilizie e assistenziali e delle esigenze ambientali. Il suddetto piano viene periodicamente verificato e aggiornato dallo stesso collegio dei docenti nel corso dell’anno scolastico.
I consigli di interclasse si riuniscono almeno ogni bimestre per verificare l’andamento complessivo dell’attività didattica nelle classi di loro competenza e proporre gli opportuni adeguamenti del programma di lavoro didattico”.

Art. 7: “Al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Nell’ambito della programmazione di cui al precedente comma sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps da realizzare mediante l’utilizzazione dei docenti, di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso di particolari titoli di specializzazione, che ne facciano richiesta, entro il limite di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero massimo di sei ore settimanali.
Le classi che accolgono alunni portatori di handicaps sono costituite con un massimo di 20 alunni.
In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio sociopsico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli Enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale.
Le attività di cui al primo comma del presente articolo si svolgono periodicamente in Sostituzione delle normali attività didattiche e fino ad un massimo di 160 ore nel corso dell’anno scolastico con particolare riguardo al tempo iniziale e finale del periodo delle lezioni, secondo un programma di iniziative di integrazione e di sostegno che dovrà essere elaborato dal collegio dei docenti sulla base di criteri generali indicati dal consiglio d’istituto e delle proposte dei consigli di classe...
Possiamo notare come i citati articoli fanno riferimento ad attività di sostegno che devono essere affidate ad insegnanti appositamente specializzati attraverso dei corsi biennali già istituiti fin dal 1975 dall’Ufficio Studi e Programmazione del Ministero della Pubblica Istruzione.

venerdì 4 gennaio 2008

FASE SOCIALE


La seconda fase, la sociale, è caratterizzata dalla contestazione del “sessantotto” che sottopose a dura critica l’approccio puramente medico-specialistico, accusandolo di emarginare i soggetti portatori di handicap ed evidenziò contemporaneamente la decisiva importanza dei fattori socio-politico-culturali per l’integrazione e l’educazione dei soggetti handicappati. L’enucleazione dei fattori “ambientali” mise in ombra i fattori “bio-generici” che avevano avuto un’importanza predominante nella fase precedente.
E’ in questa fase che le consacrate distinzioni tra “normale” e “anormale” furono messe in discussione, soprattutto dagli studiosi che davano all’interpretazione del problema una valenza prettamente umana. Nacque da ciò una polemica tra le due opposte posizioni. L’una, secondo il proprio giudizio dell’handicap, ne riconduceva l’origine a una forma di innatismo e, pertanto, il recupero diventava alquanto difficile; l’altra, seguendo un criterio ambientalistico, riconosceva la genesi dell’anomalia in cause prettamente sociali.
Tale polemica, però, con lo sviluppo delle scienze umane, permetteva il superamento progressivo della radicalizzazione del problema, con una netta prevalenza della concezione ambientalista e sociale. Ciò ha portato ad una maggiore e più pressante richiesta dell’inserimento scolastico dei soggetti handicappati nelle classi comuni della scuola dell’obbligo, abbandonando così, via via, le scuole speciali e le classi differenziali. L’uomo infatti si manifesta alla società per quello che è, ed interagisce con essa secondo la personale struttura psico-fisica; la comunità, quindi, lo deve accettare così com’è, senza creare barriere psicologiche che ne impediscano la sua totale integrazione sociale. L’handicap non esiste, dicono gli ambientalisti, ma è un’invenzione della società che, stabilendo dei fittizi parametri umani, considera diverso o anormale tutto ciò che non rientra in “prototipi” precostituiti.
Se l’handicap non esiste, dunque, ed è una creatura della struttura sociale, il problema si deve risolvere attraverso la società e non fuori di essa. Non esistono esseri umani che siano uguali e identici come gocce d’acqua, ma tutti sono diversi e tutti sono persone. Grazie all’effetto ditali principi, che s’andavano affermando sempre di più, man mano che l’uomo-tecnologico crollava inesorabilmente con l’acuirsi della crisi economica degli anni sessanta e settanta, appannando lo sfavillio dell’oro e del benessere che avevano sorretto il boom degli anni precedenti, in Italia fiorivano una serie di provvedimenti legislativi che portavano gradualmente all’inserimento totale, ed in tantissimi casi selvaggio, del disabile nelle classi comuni dell’obbligo.
I primi sintomi della nuova tendenza si tradussero in Parlamento con la legge 30 marzo 1971, n. 118; essa all’art. 2 dava, per la prima volta nella legislazione italiana, una definizione specifica di soggetto handicappato: “Agli effetti della presente legge, si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi e sordomuti per i quali provvedono altre leggi
”.
Gli articoli 27 e 28 qui sotto riportati trattano, invece, delle barriere architettoniche e del loro abbattimento, del trasporto gratuito e dell’assistenza durante l’orario scolastico.

Art. 27: Per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovranno essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante l’eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già costruiti all’entrata in vigore della presente legge; i servizi di trasporti pubblici ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere accessibili agli invalidi non deambulanti; in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere vietato l’accesso ai minorati; in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli, che saranno in futuro edificati, dovrà essere previsto e riservato uno spazio agli invalidi in carrozzella; gli alloggi situati nei piani terreni dei caseggiati dell’edilizia economica e popolare dovranno essere assegnati per precedenza agli invalidi che hanno difficoltà di deambulazione, qualora ne facciano richiesta.
Le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo saranno emanate, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Ministri competenti, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge.

Art. 28: Ai mutilati e invalidi civili che non siano autosufficienti e che frequentino la scuola dell’obbligo o i corsi di addestramento professionale finanziati dallo Stato vengono assicurati:
a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi;
b) l’accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza;
c) l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi.
L ‘istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche ditale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali.
Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie.
Le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i doposcuola”
.
La legge 118/71 dà il primo colpo di piccone alla vecchia scuola, iniziando un discorso nuovo sulla problematica degli handicappati, seppure limitato ai soli “fisici”, tralasciando gli “irregolari psichici e gli insufficienti mentali”; teoricamente si inizia una nuova era, un nuovo modo di pensare: ma sostanzialmente tutto rimane fermo.
L’abbattimento auspicato delle barriere architettoniche non c’è stato, e soltanto oggi si tenta di costruire gli edifici di utilità pubblica, comprese le scuole, applicando le norme previste dalla legge 118; le vecchie e sontuose scuole ancora oggi si mostrano nella proprie eguale integrità strutturale, che sembra sfidare l’eternità del tempo, eccezione fatta per qualche scivola rimediata a mala pena.
Né il discorso cambia per i servizi sociali, dove la latitanza delle Istituzioni pubbliche si fa pressoché totale, sia per il trasporto gratuito, che per l’assistenza scolastica degli invalidi più gravi. Le famiglie degli handicappati fisici, certi di avere avuto finalmente con la legge n. 118 un riconoscimento dello stato di disagio, di sofferenza e di totale abbandono, cominciavano a sperare negli aiuti delle Istituzioni pubbliche, i quali puntualmente non venivano concessi, disattendendo l’applicazione della suddetta legge.
Ciò immancabilmente provocava sfiducia, sconforto e continui stati di frustrazione per la mancata applicazione della legge, la quale, sebbene non rappresentasse il toccasana dei problemi legati alle situazioni di handicap, era pur sempre un valido inizio che appariva come una svolta decisiva al modo di rapportarsi alla cultura dell’ “handicap”. Il nuovo approccio al problema, infatti, trovava poi un ulteriore completamento con l’emanazione, in quello stesso anno, della legge 24 settembre 1971. n 820, la quale istituiva la scuola elementare a tempo pieno e si proponeva, almeno nelle intenzioni, di realizzare una “scuola integrata” mediante il realizzarsi di una successione organica e unitaria di momenti educativi (culturali, artistico-espressivi, ludici, ecc.) da attuarsi anche mediante l’intervento di diversi insegnanti debitamente preparati ed operanti in collaborazione tra loro.
Si arriva così al 1975, allorché la C.M. dell’8 agosto, n. 227, immediatamente successiva alla conclusione dei lavori della commissione di studio sui problemi degli handicappati (conosciuta come “Commissione Sen. Falcucci”), prospettava, pur non dando molta rilevanza alla complessità e gravità dei problemi di natura strutturale ed organizzativa, l’opportunità di un normale inserimento scolastico degli alunni handicappati, intendendolo come un passo fondamentale per la piena integrazione del minorato nella scuola.
La circolare n. 227 proponeva l’inserimento dei disabili, in via sperimentale, in gruppi di scuole all’uopo prescelte, non sempre nel quartiere di residenza degli stessi.
Era altresì prevista la costituzione, presso ogni Provveditorato agli Studi, di un apposito Gruppo di lavoro, formato da operatori scolastici, con la funzione di agevolare il processo di inserimento e di integrazione.

giovedì 3 gennaio 2008

FASE MEDICO-SPECIALISTICA


Questa fase, che possiamo definire “presessantottista”, è caratterizzata dal prevalere dell’ottica “medico-specialistica”, con la conseguenza che il soggetto portatore di handicap viene inserito in strutture dove la valenza medica ha il sopravvento sulle attività didattiche e dove il disabile si scruta solamente da un punto di vista medico.
E’ il periodo nel quale fioriscono le scuole speciali e le classi differenziali. Infatti il 9 luglio 1962, con la circolare prot. n. 4525, il Ministro della Pubblica Istruzione stabilisce, in modo organico, a seconda delle forme e del tipo delle minorazioni degli alunni, se questi devono frequentare le scuole speciali o le classi differenziali.
“E’ indispensabile che il personale insegnante preposto alle scuole speciali sia in possesso del titolo di specializzazione. Per l’insegnamento nelle scuole speciali per minorati psichici o fisici, il maestro deve essere in possesso del diploma o certificato rilasciato dalle scuole magistrali ortofreniche, conseguito al termine dei corsi di fisiopatologia dello sviluppo psichico o fisico del fanciullo, di cui all’art. 404 del Regio Decreto 26/4/1928, n. 1297”.
L’insegnamento nelle scuole speciali per sordastri o ambliopi dovrà essere affidato esclusivamente a personale che sia in possesso, rispettivamente, del titolo di specializzazione conseguito al termine dei corsi per sordastri, organizzati dagli istituti statali per sordomuti, o del diploma di specializzazione rilasciato dall’istituto di specializzazione, per gli educatori dei minorati della vista, “Augusto Romagnoli”.
Anche ai fini organizzativi sarà necessario tenere presente che nella categoria dei minorati fisici devono essere inclusi anche quegli alunni che tradizionalmente non sono stati considerati tali.
Le scuole destinate ad accoglierli dovranno essere opportunamente incrementate, restando però inteso che la selezione degli educandi dovrà essere accuratissima e, in ogni caso, tale da escludere gli scolari che possono trarre profitto da un buon insegnamento individualizzato nella scuola comune.
Per quanto riguarda il reperimento degli alunni ci si dovrà conformare ai seguenti criteri: “a segnalare la minorazione sarà l’insegnante, a mezzo di relazione scritta al Direttore didattico; costui, dopo che le competenti autorità sanitarie (medico scolastico, ufficiale sanitario, o medico condotto) avranno accertato il tipo della minorazione, avvierà l’alunno alla scuola corrispondente. In ogni caso è consigliabile che l’accertamento della minorazione sia demandato ai locali centri medico-psico-pedagogici, qualora vi siano. Laddove non esistono i centri, sarà opportuno che il Direttore didattico, d’intesa con il medico provinciale, faccia nominare una commissione, di cui possibilmente facciano parte: uno specialista in neuropsichiatria infantile, un insegnante specializzato in ortofonia, un pediatra e - secondo le circostanze - un oculista e un otorinolaringoiatra. Le operazioni di accertamento delle minorazione devono aver luogo entro il 31 ottobre di ogni anno”.
Le classi speciali o differenziali saranno forma e tenendo conto degli alunni secondo il seguente schema:
a) minorati psichici: da 6 a 10 alunni (8-15 per le classi differenziali);
b) per sordastri: da 8 a 10;
c) per ambliopi: da 8 a 10.
E’ da precisare che alle classi differenziali saranno inviati gli alunni che, dopo un periodo di osservazione dei centri medico-psico-pedagogici, presentano lievi anomalie del carattere per cause non costituzionali; o gli alunni scarsamente dotati, con quoziente intellettivo di poco inferiore a quello normale.
E’ da escludere, in ogni caso, la destinazione alla classe differenziale allorché il lieve squilibrio fra età anagrafica ed età mentale, o l’anomalia del carattere, possono essere opportunamente eliminati dalla scuola comune, attraverso un’attenta e vigile azione educativa, nonché un insegnamento adeguatamente individualizzato.
Per ogni alunno dovrà essere curata la preparazione di una cartella, nella quale devono essere raccolte le schede con i risultati delle indagini mediche, psicologiche e ambientali, e con le osservazioni degli insegnanti, nonché un giudizio di sintesi sul soggetto. In tale contesto si inserisce la famiglia del disabile, la quale deve tenersi costantemente in contatto sia con gli insegnanti che con le istituzioni mutualistiche, al fine di un rimborso delle spese sostenute per l’acquisto di medicine (C.M. prot. n. 934/6 del 2 febbraio 1963).
E’ perfettamente inutile stare a ricordare come ci sia stato un continuo incremento di queste istituzioni che inevitabilmente facilitavano l’emarginazione più totale degli alunni difficili. Nelle scuole speciali, dove venivano accolti sia gli handicappati fisici che psichici, non esisteva alcuna cultura del “recupero”, in quanto essi erano considerati “gravi”.
Nelle classi differenziali, invece, venivano accolti gli alunni considerati dai centri medico-psico-pedagogici “ritardati” o dei “disturbati lievi della personalità”, i quali potevano essere recuperati dagli insegnanti specializzati con il titolo di fisiopatologia, applicando una didattica differenziata ed individualizzata e quindi, successivamente, integrati nei corsi comuni della scuola.
Questo fatto, però, accadeva molto di rado, perché l’alunno inserito in queste classi differenziali veniva considerato sempre un alunno diverso dai normo-dotati; e quindi una loro ipotetica integrazione in una classe comune si pensava disturbasse o rallentasse il buon andamento didattico della classe stessa a danno nei più meritevoli.

martedì 1 gennaio 2008

CENNI STORICI



Per poter capire l’attuale situazione dell’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap inseriti nelle classi comuni, sarebbe necessario ricostruire storicamente il problema di come esso è stato posto nel tempo e, via via, risolto sul piano della legislazione. E’ da precisare che la scuola italiana nel settore handicap non ha una consolidata esperienza, essendosi occupata del problema soltanto agli inizi del XX secolo, e precisamente il 21 dicembre 1923. Con il Regio Decreto n. 3126 si stabilivano le prime disposizioni scolastiche dettando, per la prima volta in Italia, norme per l’istruzione dei ciechi e dei sordomuti, assieme ad altre norme, rivolte all’assistenza dei fanciulli anormali e all’organizzazione di classi differenziali nelle scuole elementari.
Il R.D., però, che provocò più scalpore di tutti fu il n. 577 del 5 febbraio 1928, che all’art. 175 stabiliva: “obbligo scolastico è esteso ai ciechi e ai sordomuti, i quali non presentano altra anormalità che impedisca loro di ottemperarvi. Per i sordomuti è esteso fino al 16° anno di età”.
L’istruzione elementare dei ciechi e dei sordomuti avveniva quindi in apposite scuole speciali, con corsi di studio della durata non più di cinque anni, ma di sette, con tempi più distesi, conseguendo alla fine la licenza elementare ai sensi del citato R.D.
Per i disabili psicofisici, “chiamati anormali”, didatticamente si fece ben poco e solo nel 1925, con il R.D. n. 653, all’art. 102 si stabiliva che: “i mutilati o invalidi di guerra e coloro che dalla nascita e per causa sopravvenuta non abbiano la piena capacità funzionale degli organi per sostenere tutte le prove d’esame, possono in seguito a deliberazione motivata della commissione esaminatrice ottenere la dispensa totale o parziale dalle singole prove con l’obbligo di sottoporsi, ove sia possibile, ad esperimenti che dalla commissione siano ritenuti equipollenti, e che consisteranno, secondo i casi, per le prove scritte o grafiche, in colloqui o in trascrizioni di traduzione o le esecuzioni sulla lavagna per mano di uno degli esaminatori; per le prove orali, in risposte per iscritto da parte dei candidati, e per le prove pratiche, in spiegazioni date a voce o sulla lavagna. La domanda di dispensa, in carta libera, deve essere presentata contemporaneamente alla domanda di iscrizione agli esami”.
Lo stesso R.D. n. 577/28 stabiliva inoltre che i soggetti in età scolare che presentavano delle anomalie del carattere o dell’intelligenza, non ascrivibili, però, a menomazioni costituzionali e non riscontrabili clinicamente, e di conseguenza facilmente recuperabili mediante una “speciale assistenza educativa”, affidata ad insegnanti in possesso di titoli di studio speciali (fisiopatologia dello sviluppo fisico o psichico del fanciullo), potevano essere inseriti in classi differenziali, mentre nelle scuole speciali venivano accolti i soggetti psico-fisici considerati “gravi” e non recuperabili.
Anche in queste scuole particolari il personale insegnante doveva essere fornito di titolo di fisiopatologia.
Questi Regi Decreti sono importanti non solo perché per la prima volta si dava inizio ad un nuovo discorso sui disabili, ma anche perché consentivano di superare gradualmente le elaborazioni fatte dal punto di vista della carità e dell’assistenza, con le quali essi venivano trattati in precedenza.
Erano gli istituti religiosi, nella maggioranza dei casi, ad accogliere questi soggetti in difficoltà, specialmente i “psichici”; questi istituti però si limitavano esclusivamente ad un’assistenza generica, senza tentare terapie di recupero che potessero consentire un possibile inserimento sociale.
E’ estremamente importate, invece, l’art. 102 del R.D. n. 653 del 1925 perché dà indicazioni per facilitare gli esami di licenza elementare, anche se esse erano rivolte ai soli handicappati fisici, indicazioni che successivamente, a distanza di oltre 50 anni, saranno riesumate, come vedremo in seguito, con il D.M. del 26agosto 1981. Esaurita questa breve premessa, possiamo suddividere il restante periodo di questo secolo, che è il più importante, in tre fasi specifiche:
a) la medico-specialistica;
b) la sociale;
c) la medico-sociale.
Ognuna di queste fasi è caratterizzata da una specifica impronta culturale, che ne definisce il momento storico interessato, e che è influenzata dal prevalere di una ben determinata concezione filosofica della vita e della società. Essa tenta di risolvere il difficile problema del disabile prima in un modo, poi in un altro, in contrapposizione spesso tra di loro.
Nel corso del lavoro analizzeremo le varie fasi, avvalendoci della normativa che via via è stata emanata, mettendone in evidenza, fin dove possibile, gli aspetti e i relativi provvedimenti, le incongruenze logiche e le mancanze dannose.

PRESENTAZIONE


L’inserimento e l’integrazione di alunni portatori di handicap nelle classi comuni pone tutt’oggi seri problemi di diversi dimensioni: psico-pedagogici, organizzativi, didattici.
Gli stessi termini “inserimento” e “integrazione”, anche se costituiscono ormai due espressioni consuete nel linguaggio degli operatori scolastici, necessitano ancora di una chiarificazione del loro esatto significato.
L’inserimento, infatti, è un fatto giuridico e fisico e rappresenta l’azione di avvio per favorire lo sviluppo del portatore di handicap e della sua “socialità”; l’integrazione, invece, è un fatto didattico ed educativo e rappresenta l’obiettivo permanente di ogni attività scolastica.
Lo scopo da raggiungere nella scuola non è solo l’adattamento del disabile ad essa (la cd. socializzazione), ma soprattutto il suo massimo sviluppo possibile, condizione indispensabile per il suo inserimento attivo e responsabile nella vita familiare, nel mondo del lavoro, nel tempo libero. Con uno slogan si potrebbe dire dall’integrazione scolastica all’integrazione sociale.
Il problema dei portatori di handicap, invero, non è risolvibile solo con una legislazione scolastica e sociale specifica, se poi le angosce, le sofferenze, le umiliazioni delle persone affette da handicap sono prese in considerazione da un ristretto numero di operatori scolastici e sociali.
Occorre che tutta la comunità scolastica accetti le differenze di ogni alunno come una diversità e non come deficienza, perché la diversità non aggravi le condizioni di ineguaglianza e anzi rafforzi l’esigenza di una conoscenza più approfondita di ciascun disabile.
In questa ottica il disabile a scuola non può essere considerato ancora un “ospite sgradito”, anche se rimane un “ospite” che suscita perplessità, vere e proprie angosce, consideratele difficoltà soggettive, oggettive e strutturali che la sua presenza fa nascere nella comunità scolastica, difficoltà che, se non sono adeguatamente risolte, possono anche riproporre un ‘ulteriore, nuova e più grave emarginazione del soggetto disabile.
Vi sono, infatti, molte difficoltà all’integrazione del disabile nella scuola comune, prima fra tutte il sentimento di impotenza da cui spesso è preso il docente in presenza di alunni in difficoltà. Questo senso di impotenza si fonda il più delle volte sulla propria impreparazione in tema di didattica differenziale che presuppone una conoscenza approfondita di tecniche e forme di apprendimento adeguate agli alunni disabili, ma sicuramente utili anche per tutti gli altri alunni.
Spesso il docente curriculare è riluttante ad occuparsi degli alunni disabili e mette in azione nei rapporti con essi comportamenti automatici difensivi, quando, al contrario, è importante dare vita a rapporti spontanei, di accettazione incondizionata, di empatia, stabilire con il disabile una comunicazione affettiva più intensa.
A queste difficoltà intrinseche alla scuola, si associano quelle estrinseche riguardanti la mancanza, in molte scuole, di determinate condizioni oggettive in ordine alle caratteristiche edilizie (le c.d. barriere architettoniche), ovvero la disponibilità degli Enti locali a fornire, attraverso apposite intese, servizi di assistenza adeguati, e di molte UU.SS.LL. ad assicurare personale specializzato per compiti di supporto e terapia riabilitativa con finalità prevalentemente educativa.
Sorge allora l’esigenza di un coinvolgimento interistituzionale nell’integrazione del disabile, affinché questi non sia più considerato come una persona bisognosa che utilizza la scuola e i servizi sociali solo per una sua crescita personale, ma soprattutto come una persona che, se opportunamente aiutata ad integrarsi e ad esprimere le proprie pur ridotte capacità, può partecipare alla vita sociale, offrire a sua volta un servizio alla società, mettendo a disposizione il suo essere persona umana.
Si deve, però, lamentare che con, la fine della scuola media, sembrano improvvisamente smarrirsi tutte le attenzioni per il portatore di handicap. Spesso il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro rappresenta per il disabile un salto nel vuoto.
Tanti forse, ripiombano nel chiuso della propria famiglia, sottratti ad una partecipazione attiva al tessuto dei rapporti sociali e alle attività produttive per colpevole negligenza delle istituzioni, incuranti dell’art. 38 della Costituzione italiana che solennemente afferma il diritto degli inabili e dei minorati non solo all’educazione ma anche all’avviamento professionale.
L’integrazione nella scuola prima e nel mondo produttivo dopo non è una “moda” passeggera da abbandonare al sorgere delle prime difficoltà.
Certo non ci sfugge che vi sono handicap di rilevante gravità, che meritano un discorso a parte. Ma non vorremmo che i pochi casi veramente gravi possano costituire un comodo alibi per un’inammissibile generalizzazione di impotenza e di inazione.
Nel variegato quadro delle problematiche dell’integrazione scolastica degli alunni disabili c’è anche un aspetto legato alla scarsa conoscenza da parte di molti operatori scolastici della vasta normativa che, soprattutto a partire dagli anni ‘70, si è accumulata sul nostro tema. Nell’attività quotidiana di molte scuole l’ignoranza della normativa specifica determina talvolta incomprensioni, dubbi e perplessità se non vere e proprie forme di dure contrapposizioni tra operatori scolastici.
La conoscenza di tale normativa è utile non solo a Capi d’istituto e ai docenti specializzati, ma dovrebbe far parte del bagaglio professionale di ciascun docente. Il lavoro si propone appunto di offrire un aiuto a tutti gli operatori scolastici che, nella specificità del proprio ruolo, desiderano acquisire maggiore consapevolezza di tutte le opportunità di una normativa che viene ritenuta all’avanguardia in tutta l’Europa.
Lo studio si articola in due parti.
Nella prima, dopo alcune sofferte e critiche considerazioni generali sull’applicazione della riforma varata dalla Legge n. 517/1977, ricostruisce storicamente il problema dell’integrazione scolastica dei disabili ed evidenzia le soluzioni che il legislatore nel tempo ne ha dato.
La prima fase, cronologicamente anteriore al ‘68, è caratterizzata dal prevalere dell’ottica “medico-specialistica” che sacrifica l’aspetto didattico-educativo. Ciò comporta il fiorire di scuole speciali e l’istituzione delle classi differenziali.
Con la contestazione del ‘68 viene stigmatizzato l’approccio prevalentemente medicospecialistico e assumono decisiva importanza i fattori socio-politico-culturali (fase sociale).
Si cita la L. n. 118/1971 come un primo sintomo di questa concezione sociale del problema dei portatori di handicap. Per quanto riguarda la dimensione scolastica si evidenzia l’importanza della C.M. n. 216/1977 che istituisce presso ogni Provveditorato agli Studi un apposito Gruppo di lavoro con la “funzione di agevolare il processo di inserimento e di integrazione”, circolare che anticipa di un solo giorno l’emanazione della nota Legge n. 517/1977 che prescrive l’inserimento degli alunni disabili nelle classi comuni delle scuole di base.
La dimensione sociale dell’inserimento fa nascere l’esigenza di attività di sostegno a favore degli alunni disabili affidate ad insegnanti specializzati da corsi biennali previsti e strutturati dallo stesso M. P. I.
Siamo già alla terza fase caratterizzata dalla consapevolezza che il problema dell’integrazione va affrontato con più scientificità e in collaborazione tra scuola e servizi sociali e sanitari del territorio.