lunedì 7 gennaio 2008

LE AMBIGUITA' DELL'INSERIMENTO


I docenti di ruolo, in base all’articolo 14 della legge 270 del 20 maggio 1982 hanno, anche, la possibilità di avere il semiesonero per partecipare ai corsi di specializzazione, effettuati ai sensi del D.P.R. n. 970/75. L’articolo così recita; “L’utilizzazione del personale docente secondo quanto previsto nei commi sesto e ottavo del presente articolo è disposta dal direttore didattico o dal capo dell’istituto, nei limiti numerici risultanti dalla disponibilità del personale di ruolo assegnato al circolo o alla scuola, purché il personale docente così utilizzato sia sostituibile con personale di ruolo assegnato al circolo o alla scuola media. Nei limiti delle disponibilità di cui al presente comma, è possibile concedere esoneri parziali o totali dal servizio per i decenti di ruolo che siano impegnati in attività di aggiornamento o che frequentino regolarmente i corsi per il conseguimento di titoli di specializzazione e di perfezionamento attinenti la loro utilizzazione e richiesti dalle leggi e dagli ordinamenti scolastici, ivi compresi i corsi di cui all’articolo 8 del de- creto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n 970, purché organizzati,nell’ambito delle disponibilità finanziarie previste dall’apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della pubblica istruzione, sulla base di convenzioni a tal fine da questo stipulate, da istituti universitari. Alle convenzioni con gli istituti universitari si applicano le disposizioni di cui all’articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11luglio 1980, n. 382”.
La legge n. 270/82 rappresenta un’evoluzione sul piano normativo anche se pone ancora ambiguità e aspetti negativi. Basti pensare all’articolo 12, al comma dove stabilisce che per la scuola media ogni insegnante di sostegno dovrà seguire quattro alunni handicappati.
Se consideriamo la legge n 517/77 che assegnava ad ogni docente di sostegno tre alunni, con un esiguo orario settimanale di sei ore, possiamo capire come la legge 270 non rappresenti in tal senso un miglioramento, riducendo ulteriormente la disponibilità di ore di sostegno per ogni alunno disabile.
Comunque, al di là del permanere di punti negativi, una certa evoluzione sul piano legislativo c’è stata; e ciò dimostra che negli ultimi anni l’esperimento dell’inserimento nella scuola è stata considerata con maggiore spirito critico rispetto al passato. Basti considerare la legge n. 118/71, la quale permetteva l’inserimento scolastico, nelle classi comuni, soltanto degli invalidi civili che non avessero delle “difficoltà persistenti” a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, mentre la n. 517/77 dava la possibilità anche ai più gravi di frequentare la normale scuola dell’obbligo assieme ai normodotati. Se per un verso si è fatto giustizia dei più “gravi”, per l’altro verso l’integrazione è stata molto spesso al di sotto delle aspettative, quando addirittura non si è risolta in un dannoso fallimento. L’inserimento massiccio e selvaggio a volte è stato condotto all’insegna della socializzazione, e questa impostazione ha contribuito ad accentuare l’approccio pressappochistico, improvvisatorio e fondamentalmente non scientifico al problema. Se gli handicappati devono, in larghissima misura, essere inseriti nella scuola di tutti, in quanto ciò costituisce un reale ed immediato vantaggio, l’inserimento non dev’essere operato alla cieca, ma dev’essere meditato scientificamente, con il coinvolgimento di tutta la struttura scolastica, poiché è questa che deve adeguarsi all’alunno disabile o normodotato, e non viceversa.
E’ la scuola che deve pedagogicamente strutturarsi diversamente da come è stata finora, per poter rispondere ai bisogni di tutti gli alunni, considerando che l’istituzione scolastica è anche un servizio sociale.
Come abbiamo detto prima, l’aspetto socializzante dell’inserimento ha funzionato finora come alibi per non doversi confrontare con i problemi difficili e gravosi del processo stesso, la cui soluzione oggi appare non più dilazionabile nel tempo. Non basta più inserire il portatore di handicap in una classe normale per immaginare un effetto di “normalizzazione” e perché un bambino “diverso” venga dalle UU.SS.LL. dichiarato inseribile in un contesto normale.
Non è la presenza dei normodotati che agisce come deterrente per il recupero dell’disabile, quanto, invece, la presenza di operatori scolastici ben disposti o professionalmente preparati, sanitari, operatori socio-assistenziali, ecc., strutture adeguate che, per non pochi casi, sono ancora da istituire. Se, infatti, alla quasi diffusa impreparazione degli insegnanti anziani e alla rigidità delle strutture scolastiche, si aggiunge il mancato supporto delle risorse presenti nel territorio, si può ben comprendere come l’integrazione risulta avventurosa, piena di contraddittorietà e precarietà, con il concreto rischio di vedere il disabile più emarginato rispetto alle vecchie strutture delle scuole speciali.
Lo Stato, se veramente crede alla logica dell’integrazione scolastica, deve garantire classi meno numerose, insegnanti di sostegno e curriculari specializzati e qualificati, scuole sperimentali a tempo pieno, attrezzature didattiche, interventi terapeutici e sanitari. Se ciò non avverrà, negli anni futuri si avrà la negativa conseguenza di aver ingannato sia i bambini handicappati, che i parenti degli stessi, con un notevole ed inutile esborso di denaro pubblico, senza aver centrato l’obiettivo primario dell’integrazione e con la sola consolazione di aver dato un contributo positivo al problema occupazionale.

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