
Per poter capire l’attuale situazione dell’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap inseriti nelle classi comuni, sarebbe necessario ricostruire storicamente il problema di come esso è stato posto nel tempo e, via via, risolto sul piano della legislazione. E’ da precisare che la scuola italiana nel settore handicap non ha una consolidata esperienza, essendosi occupata del problema soltanto agli inizi del XX secolo, e precisamente il 21 dicembre 1923. Con il Regio Decreto n. 3126 si stabilivano le prime disposizioni scolastiche dettando, per la prima volta in Italia, norme per l’istruzione dei ciechi e dei sordomuti, assieme ad altre norme, rivolte all’assistenza dei fanciulli anormali e all’organizzazione di classi differenziali nelle scuole elementari.
Il R.D., però, che provocò più scalpore di tutti fu il n. 577 del 5 febbraio 1928, che all’art. 175 stabiliva: “obbligo scolastico è esteso ai ciechi e ai sordomuti, i quali non presentano altra anormalità che impedisca loro di ottemperarvi. Per i sordomuti è esteso fino al 16° anno di età”.
L’istruzione elementare dei ciechi e dei sordomuti avveniva quindi in apposite scuole speciali, con corsi di studio della durata non più di cinque anni, ma di sette, con tempi più distesi, conseguendo alla fine la licenza elementare ai sensi del citato R.D.
Per i disabili psicofisici, “chiamati anormali”, didatticamente si fece ben poco e solo nel 1925, con il R.D. n. 653, all’art. 102 si stabiliva che: “i mutilati o invalidi di guerra e coloro che dalla nascita e per causa sopravvenuta non abbiano la piena capacità funzionale degli organi per sostenere tutte le prove d’esame, possono in seguito a deliberazione motivata della commissione esaminatrice ottenere la dispensa totale o parziale dalle singole prove con l’obbligo di sottoporsi, ove sia possibile, ad esperimenti che dalla commissione siano ritenuti equipollenti, e che consisteranno, secondo i casi, per le prove scritte o grafiche, in colloqui o in trascrizioni di traduzione o le esecuzioni sulla lavagna per mano di uno degli esaminatori; per le prove orali, in risposte per iscritto da parte dei candidati, e per le prove pratiche, in spiegazioni date a voce o sulla lavagna. La domanda di dispensa, in carta libera, deve essere presentata contemporaneamente alla domanda di iscrizione agli esami”.
Lo stesso R.D. n. 577/28 stabiliva inoltre che i soggetti in età scolare che presentavano delle anomalie del carattere o dell’intelligenza, non ascrivibili, però, a menomazioni costituzionali e non riscontrabili clinicamente, e di conseguenza facilmente recuperabili mediante una “speciale assistenza educativa”, affidata ad insegnanti in possesso di titoli di studio speciali (fisiopatologia dello sviluppo fisico o psichico del fanciullo), potevano essere inseriti in classi differenziali, mentre nelle scuole speciali venivano accolti i soggetti psico-fisici considerati “gravi” e non recuperabili.
Anche in queste scuole particolari il personale insegnante doveva essere fornito di titolo di fisiopatologia.
Questi Regi Decreti sono importanti non solo perché per la prima volta si dava inizio ad un nuovo discorso sui disabili, ma anche perché consentivano di superare gradualmente le elaborazioni fatte dal punto di vista della carità e dell’assistenza, con le quali essi venivano trattati in precedenza.
Erano gli istituti religiosi, nella maggioranza dei casi, ad accogliere questi soggetti in difficoltà, specialmente i “psichici”; questi istituti però si limitavano esclusivamente ad un’assistenza generica, senza tentare terapie di recupero che potessero consentire un possibile inserimento sociale.
E’ estremamente importate, invece, l’art. 102 del R.D. n. 653 del 1925 perché dà indicazioni per facilitare gli esami di licenza elementare, anche se esse erano rivolte ai soli handicappati fisici, indicazioni che successivamente, a distanza di oltre 50 anni, saranno riesumate, come vedremo in seguito, con il D.M. del 26agosto 1981. Esaurita questa breve premessa, possiamo suddividere il restante periodo di questo secolo, che è il più importante, in tre fasi specifiche:
a) la medico-specialistica;
b) la sociale;
c) la medico-sociale.
Ognuna di queste fasi è caratterizzata da una specifica impronta culturale, che ne definisce il momento storico interessato, e che è influenzata dal prevalere di una ben determinata concezione filosofica della vita e della società. Essa tenta di risolvere il difficile problema del disabile prima in un modo, poi in un altro, in contrapposizione spesso tra di loro.
Nel corso del lavoro analizzeremo le varie fasi, avvalendoci della normativa che via via è stata emanata, mettendone in evidenza, fin dove possibile, gli aspetti e i relativi provvedimenti, le incongruenze logiche e le mancanze dannose.
Il R.D., però, che provocò più scalpore di tutti fu il n. 577 del 5 febbraio 1928, che all’art. 175 stabiliva: “obbligo scolastico è esteso ai ciechi e ai sordomuti, i quali non presentano altra anormalità che impedisca loro di ottemperarvi. Per i sordomuti è esteso fino al 16° anno di età”.
L’istruzione elementare dei ciechi e dei sordomuti avveniva quindi in apposite scuole speciali, con corsi di studio della durata non più di cinque anni, ma di sette, con tempi più distesi, conseguendo alla fine la licenza elementare ai sensi del citato R.D.
Per i disabili psicofisici, “chiamati anormali”, didatticamente si fece ben poco e solo nel 1925, con il R.D. n. 653, all’art. 102 si stabiliva che: “i mutilati o invalidi di guerra e coloro che dalla nascita e per causa sopravvenuta non abbiano la piena capacità funzionale degli organi per sostenere tutte le prove d’esame, possono in seguito a deliberazione motivata della commissione esaminatrice ottenere la dispensa totale o parziale dalle singole prove con l’obbligo di sottoporsi, ove sia possibile, ad esperimenti che dalla commissione siano ritenuti equipollenti, e che consisteranno, secondo i casi, per le prove scritte o grafiche, in colloqui o in trascrizioni di traduzione o le esecuzioni sulla lavagna per mano di uno degli esaminatori; per le prove orali, in risposte per iscritto da parte dei candidati, e per le prove pratiche, in spiegazioni date a voce o sulla lavagna. La domanda di dispensa, in carta libera, deve essere presentata contemporaneamente alla domanda di iscrizione agli esami”.
Lo stesso R.D. n. 577/28 stabiliva inoltre che i soggetti in età scolare che presentavano delle anomalie del carattere o dell’intelligenza, non ascrivibili, però, a menomazioni costituzionali e non riscontrabili clinicamente, e di conseguenza facilmente recuperabili mediante una “speciale assistenza educativa”, affidata ad insegnanti in possesso di titoli di studio speciali (fisiopatologia dello sviluppo fisico o psichico del fanciullo), potevano essere inseriti in classi differenziali, mentre nelle scuole speciali venivano accolti i soggetti psico-fisici considerati “gravi” e non recuperabili.
Anche in queste scuole particolari il personale insegnante doveva essere fornito di titolo di fisiopatologia.
Questi Regi Decreti sono importanti non solo perché per la prima volta si dava inizio ad un nuovo discorso sui disabili, ma anche perché consentivano di superare gradualmente le elaborazioni fatte dal punto di vista della carità e dell’assistenza, con le quali essi venivano trattati in precedenza.
Erano gli istituti religiosi, nella maggioranza dei casi, ad accogliere questi soggetti in difficoltà, specialmente i “psichici”; questi istituti però si limitavano esclusivamente ad un’assistenza generica, senza tentare terapie di recupero che potessero consentire un possibile inserimento sociale.
E’ estremamente importate, invece, l’art. 102 del R.D. n. 653 del 1925 perché dà indicazioni per facilitare gli esami di licenza elementare, anche se esse erano rivolte ai soli handicappati fisici, indicazioni che successivamente, a distanza di oltre 50 anni, saranno riesumate, come vedremo in seguito, con il D.M. del 26agosto 1981. Esaurita questa breve premessa, possiamo suddividere il restante periodo di questo secolo, che è il più importante, in tre fasi specifiche:
a) la medico-specialistica;
b) la sociale;
c) la medico-sociale.
Ognuna di queste fasi è caratterizzata da una specifica impronta culturale, che ne definisce il momento storico interessato, e che è influenzata dal prevalere di una ben determinata concezione filosofica della vita e della società. Essa tenta di risolvere il difficile problema del disabile prima in un modo, poi in un altro, in contrapposizione spesso tra di loro.
Nel corso del lavoro analizzeremo le varie fasi, avvalendoci della normativa che via via è stata emanata, mettendone in evidenza, fin dove possibile, gli aspetti e i relativi provvedimenti, le incongruenze logiche e le mancanze dannose.

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